Perché il 2025 sarà ancora l’anno dell’intelligenza artificiale

Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito più volte a mirabolanti presentazioni di manager d’azienda o sedicenti guru con la solita promessa: “Questa tecnologia cambierà per sempre il mondo”. Prima è stato il turno della Blockchain, poi delle criptovalute, poi degli NFT, poi del metaverso, poi della realtà virtuale e/o aumentata, poi di alcune piattaforme social (ve li ricordate Clubhouse o Threads?). E l’elenco potrebbe andare avanti a lungo. Com’è evidente, nessuna di queste tecnologie o applicazioni ci ha cambiato la vita. Certo, alcune hanno e avranno degli usi o dei campi di sviluppo interessanti (vedi le criptovalute), ma altre finiranno nel dimenticatoio più di quanto non lo siano già ora. È il caso, per esempio, del metaverso: ma come si può immaginare che di colpo la nostra vita, fatta di interruzioni con notifiche, mail e così via, possa trasformarsi in un luogo isolato – seppur digitale – dove immergersi, distaccandosi dal resto del mondo?

Sarà così anche per l’intelligenza artificiale, quella tecnologia (o meglio: insieme di tecnologie) che negli ultimi due anni ha caratterizzato gran parte della discussione sui media, nell’opinione pubblica, nella politica e nell’economia ogni volta che si è parlato di innovazione digitale? L’IA è destinata a essere l’ennesima bolla mediatico-finanziaria al pari delle altre recenti tecnologie? La risposta è semplicemente no. Basti vedere i miliardi di dollari che in tutto il mondo (dalla Cina agli Usa, passando per l’Europa o i grandi Paesi emergenti come l’India) si stanno investendo nello sviluppo di algoritmi sempre più performanti.

Ma il motivo non è (solo) il business dell’intelligenza artificiale. C’è una ragione che viene prima. E che è alla base dei soldi investiti. L’intelligenza artificiale – a differenza delle altre tecnologie già citate – ha in comune una qualità con le altre che hanno cambiato la storia dell’essere umano: ci regala del tempo.

Se infatti pensiamo alle grandi innovazioni della Storia, ritroviamo sempre questo elemento. Per esempio, tutti i trasporti, dall’auto al treno, dall’aereo alla bicicletta, ci hanno fatto guadagnare tantissimo tempo per spostarci da un luogo a un altro. Internet ci ha permesso di condividere in tempo reale informazioni accessibili da ogni angolo del pianeta connesso alla Rete. Il telefono (fisso e mobile) ha accelerato i tempi di comunicazione in maniera rivoluzionaria. Le scoperte medico-scientifiche hanno allungato il tempo medio della nostra vita. L’elettrificazione e le sue principali applicazioni come l’illuminazione hanno allungato le giornate, consentendoci di vivere agevolmente anche di notte e al chiuso. Anche innovazioni meno iconiche, ma che hanno avuto una grande diffusione negli ultimi 30/40 anni, rientrano nella stessa logica. Si pensi alle macchine da caffè a cialde o al forno a microonde: si sono imposti soprattutto perché hanno accorciato i tempi di preparazione.

Le tecnologie rivoluzionarie, insomma, ci donano minuti, ore, giorni e settimane. Ed è così anche per l’intelligenza artificiale. Che ci permette di svolgere operazioni o prendere decisioni in molto meno tempo rispetto a prima della sua diffusione. Succede quando dobbiamo creare un video o una presentazione per lavoro; quando seguiamo i suggerimenti degli algoritmi per acquistare un prodotto, ascoltare una canzone, guardare una serie tv o vedere filmati su TikTok; quando in azienda si processano grandi moli di dati prima di operare una scelta; quando un medico si fa aiutare da un algoritmo nella fase di diagnosi; quando un software di navigazione satellitare ci indica la strada per arrivare prima; o quando un’intelligenza artificiale addestrata in materie finanziarie è in grado di consigliare in pochi secondi su quali titoli investire.

Una tecnologia di questo tipo e con tali caratteristiche non può essere una bolla momentanea o una moda. Perciò anche il 2025 sarà l’anno dell’intelligenza artificiale, sia generativa (come quella di OpenAI e ChatGPT) che predittiva. Nel frattempo, bisognerà monitorare gli effetti della stessa IA. Uno studio del Thomson Reuters Institute condotto su quasi 2.000 aziende globali e oltre 300 organizzazioni governative, infatti, evidenzia che nel 2025 ci si aspetta che in media per ogni lavoratore verranno liberate 200 ore. Un dato che fa coppia con quello della maggiore produttività generata dall’intelligenza artificiale: secondo una ricerca di Sace, nei prossimi 5 anni ci sarà un aumento della produttività dell’1,3% annuo di tutta quell’economia (un terzo di quella mondiale) che ricorrerà all’IA.

Maggior tempo (la risorsa della quale siamo più carenti nella nostra epoca) e più produttività. Ottime notizie, che potrebbero generare ricchezza. Ma occorrerà evitare quello che è accaduto negli ultimi 30 anni, attraverso politiche industriali chiare, un aggiornamento dei percorsi formativi e un welfare capace di cogliere i cambiamenti sociali. Le tecnologie digitali – tra i tanti benefici – hanno infatti causato anche una squilibrata distribuzione della ricchezza, colpendo il potere d’acquisto della classe media e favorendo la nascita di oligopoli o monopoli di fatto, contrastati in maniera assai inefficace dalle autorità antitrust di tutto il mondo. Questo rischio c’è anche con l’IA. Ed è uno dei più grandi pericoli di questa tecnologia destinata a regalarci sempre più tempo.

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