Come maneggiare l’AI con ottimismo e senza panico

L’intelligenza artificiale può cambiare in meglio non solo la nostra vita ma anche l’ambiente. L’estratto di un’intervista su nuove tecnologie e mobilità rilasciata dal professore emerito di sociologia all’University of South Australia Anthony Elliott

Pubblichiamo l’estratto di un’intervista sull’intelligenza artificiale e la mobilità rilasciata da Anthony Elliott, professore emerito di Sociologia della University of South Australia. L’intervista è stata rilasciata nell’ambito del podcast “The Space of a journey”, iniziativa  editoriale a cura di Mundys e Codice Edizioni.
 


Proviamo a immaginare un Global A.I. Institute for Future Societies, dove elaborare vari scenari per il futuro. Un tentativo di tracciare una mappa e delineare il possibile aspetto del mondo che verrà, non solo in termini sociali generali, ma con una forte attenzione ai viaggi, ai trasporti e al turismo. Esaminiamo una serie di possibilità tecnologiche, e colleghiamo questi scenari all’economia e alla società. I mondi pervasi dall’intelligenza artificiale sono società automatizzate. Uno dei possibili scenari ruota attorno al concetto di pilota automatico, dove fondamentalmente una serie di dispositivi automatizzati circonda o è impiantata nei corpi umani, collegando senza sforzo le persone alle infrastrutture globali di IA, ai centri dati e alle reti digitali. Nella vita quotidiana di questo mondo iper-automatizzato, l’IA potenzia le modalità di lavoro e le attività professionali. Comincerà anche a facilitare la vita in famiglia, a gestire gli impegni in agenda, a coordinare gli orari, a organizzare le amicizie, persino gli appuntamenti e gli incontri intimi e, più in generale, a integrare perfettamente gli stili di vita dei cittadini all’interno di reti digitali pubbliche e commerciali su ampia scala. In questo scenario, l’aspetto più importante è che la maggior parte di tutto ciò avviene dietro le quinte. In futuro, queste automazioni riguarderanno praticamente tutti i settori. Ad esempio il settore sanitario, dove l’IA rivoluzionerà le cure personali e la sicurezza informatica.
 

Nei trasporti, l’IA traccerà i virus informatici e i malware. Vedremo non solo automobili a guida autonoma, ma anche treni senza conducente e aerei pilotati dall’IA che ridefiniranno la mobilità. Proviamo a immaginare poi uno scenario che ruoti intorno al concetto di moto perpetuo, molto simile a quello di un mondo ipermobile. Qui la scarsità di risorse e gli effetti del cambiamento climatico si rivelano molto meno preoccupanti di quanto non appaiano oggi. È un mondo in cui i nuovi mezzi di trasporto e le nuove fonti di energia, solare, a idrogeno, nucleare e altre, creano un futuro post-carbonio, ad altissima mobilità. Le persone sono sempre connesse, con media e messaggi che vengono trasmessi continuamente sui loro dispositivi intelligenti, sempre più piccoli. E in questo scenario, in termini di mobilità, vi saranno nuovi tipi di carburante e veicoli che arriveranno a trascendere le nozioni di tempo e spazio che conosciamo oggi. È un mondo in cui, ad esempio, i viaggi aerei saranno personalizzati. Le auto saranno considerate obsolete e resteranno ferme a terra, un futuro con un tocco del grande architetto L’ultima frontiera sarebbe quella di superare i limiti del tempo e dello spazio attraverso la privatizzazione degli stessi viaggi spaziali. Il sogno di molte persone che diventa realtà: viaggiare nello spazio. Questo scenario delle società automatizzate è stato talvolta definito in letteratura come una visione del futuro alla Star Trek. Certamente, dal punto di vista delle politiche pubbliche attuali, questo scenario potrebbe supportare una popolazione mondiale di oltre dieci miliardi di persone. Tuttavia, molti la considerano una visione meno preferibile rispetto ad altre, perché ovviamente si basa su livelli di mobilità altissimi. C’è poi il futuro della singolarità tecnologica, un futuro che riguarda la superintelligenza. In questo mondo, l’IA ha reso gli esseri umani biologici, se non obsoleti, a dir poco superflui. È un mondo globale ipertecnologico, in cui le macchine automatizzate sono diventate così intelligenti da progettare e migliorare se stesse in maniera ricorrente e costante. Qui, molte delle ipotesi e delle supposizioni dei decenni precedenti si rivelano incredibilmente errate. Ad esempio, la scarsità di risorse e di cibo a livello globale si scopre essere meno problematica di quanto si pensasse prima, grazie ai robot avanzati, all’ingegneria genetica e alle nanotecnologie che trasformano i sistemi di produzione, consumo e trasporto in tutto il pianeta.
 

Certo, è un mondo di viaggi superveloci e stili di vita iper-individualizzati. In questo scenario i trasporti si configurano come un territorio quasi inesplorato. La singolarità tecnologica è così radicalizzata nei suoi impatti e nelle sue conseguenze che torniamo a una sorta di tabula rasa dei trasporti. Macchine intelligenti lavorano senza sosta. Pertanto, quando le persone avranno bisogno di viaggiare, utilizzeranno veicoli piccoli, ultraleggeri, intelligenti e probabilmente a batteria. Questi veicoli verranno perlopiù noleggiati e le strade saranno piene di microcar a velocità controllata, minibus a richiesta, biciclette elettriche, veicoli ibridi e molto altro, tutti perfettamente integrati con il trasporto pubblico su larga scala. In questo scenario, la maggior parte dei veicoli sarà senza conducente. Anche il loro movimento sarà integrato elettronicamente e fisicamente con altre forme di mobilità. Si assisterà alla nascita di quelle che potrebbero essere chiamate capsule personali multimodali, che passerebbero da una modalità di trasporto all’altra e da un livello all’altro della rete. Sarebbe previsto un coordinamento elettronico tra i trasporti motorizzati e non motorizzati con coloro che sono in movimento. È un mondo in cui gli scenari apocalittici sulla distruzione del pianeta a causa di una catastrofe ecologica o di un disastro nucleare si rivelano infondati. L’ultima frontiera tra uomo e macchina viene superata: le persone accolgono pienamente queste macchine automatizzate superintelligenti e si lasciano alle spalle i loro corpi, mentre il sogno dell’immortalità diventa realtà. Un altro futuro è caratterizzato da un cambiamento climatico dirompente, una possibilità per molti aspetti contraddittoria. Da un lato, l’intelligenza artificiale potrebbe avere un ruolo centrale nell’aiutare il mondo a diminuire le emissioni di carbonio, o forse realizzare un futuro post-carbonio. Dall’altro lato, è possibile che l’IA diventi parte integrante di un modello di crescita economica in cui le nuove tecnologie alimentano l’esaurimento di risorse del pianeta. Un futuro  terribile. Nella prima versione di questo scenario climatico, molti analisti parlano di una decrescita alimentata dall’IA. Una decrescita che prevede l’uso di tecnologie per ridurre le emissioni di gas serra, in particolare di CO2, fino all’inversione dell’innalzamento del livello del mare. I progressi della tecnologia, in particolare nell’intelligenza artificiale e nei big data, trasformerebbero concretamente la nostra vita, presente e futura. Questa visione del mondo, in cui il consumo e l’utilizzo di energia sono infiniti, contrasta con la possibilità che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale comportino una crescita massiccia dei centri di elaborazione dati in tutto il pianeta e che la domanda di energia elettrica superi completamente la linea di confine arrivando al punto di rottura. In questo scenario, quindi, si prospetta un mondo in cui produzione, consumi, viaggi, trasporti, turismo, così come i nostri stili di vita, sono sempre più minacciati.
 

Quindi, di fronte alla preoccupazione e all’ansia crescenti per l’inquinamento e la diffusione di città che diventano sempre più ingovernabili, abbiamo la promessa  dell’intelligenza artificiale. E uno dei punti chiave da sottolineare è che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale non si limitano alla sola tecnologia. È una questione di modelli sociali e di uso sociale delle tecnologie; come saranno utilizzate? Saranno adottate per affrontare i problemi del capitalismo basato sul carbonio? È un settore che sta davvero alimentando una sorta di salto quantico che crea opportunità, ma anche rischi e pericoli, per poter affrontare un mondo caratterizzato dai cambiamenti climatici.

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I pregiudizi da abbattere sull’intelligenza artificiale

Pubblichiamo l’estratto di un’intervista sull’intelligenza artificiale e la mobilità rilasciata da David Weinberger, ricercatore senior al Berkman Center for the Internet and Society della Harvard University. L’intervista è stata rilasciata nell’ambito del podcast “The Space of a journey”, iniziativa editoriale a cura di Mundys e Codice Edizioni.  
L’Intelligenza Artificiale può portare a un grande cambiamento nel modo in cui pensiamo e agiamo. Nella tradizione occidentale abbiamo identificato la verità con le affermazioni generali, le leggi e i principi universali e le regole. Abbiamo pensato in questo modo fin dagli antichi Greci e abbiamo continuato anche durante l’Illuminismo. Perché l’abbiamo fatto? Per la convinzione che l’universo sia abbastanza razionale e ordinato da permetterci di capirlo. E anche se non possiamo comprendere ogni piccolo dettaglio, apparentemente possiamo scoprire le grandi leggi che governano la realtà. Queste generalizzazioni sono un buon modo per spiegare le cose. È molto semplice indicare una condizione generale. Se per esempio una gomma è sgonfia e qualcuno vuole capire cosa è successo, può fare riferimento ai fatti, alle leggi della fisica che regolano la pressione e così via. Una terza ragione per cui ci piace e preferiamo le generalizzazioni è che ci fanno sentire di avere il controllo. Siamo la specie privilegiata, consacrata da Dio o dall’evoluzione per comprendere l’universo. E il modo per farlo è cogliere queste grandi leggi, cosa che ci rende molto, molto speciali. Abbiamo sempre pensato così. Ma non è così che funziona l’apprendimento automatico, per il quale è essenziale che si forniscano dei dati.  
L’apprendimento automatico è generalmente ciò che si intende per A.I. al giorno d’oggi, perciò è importante capire qual è la differenza tra l’A.I. e l’informatica tradizionale. Per esempio, se si sta applicando l’informatica tradizionale e si vuole prevedere il tempo meteorologico, bisogna conoscerne la logica. Quali sono i fattori che lo influenzano? La temperatura, la quantità di umidità nell’aria e così via. E questo è in effetti il modo in cui si procedeva. Avevamo i principi di Newton che spiegavano cosa succede quando masse di questo tipo e di questa densità interagiscono, eccetera. Quindi scrivevamo un programma che esprimeva queste relazioni, queste leggi, e poi inserivamo i dati. Con l’apprendimento automatico, teniamo per noi tutto ciò che sappiamo sul meteo, o se si tratta di affari, tutto ciò che sappiamo sugli affari, o sulla salute e così via. Non diciamo al sistema nulla di ciò che sappiamo. Gli forniamo solo i dati e gli permettiamo di elaborare i modelli a partire dai dati. Di solito questi modelli sono più precisi rispetto al vecchio metodo. I modelli possono essere così complessi, e spesso lo sono, che non riusciamo a capire come la macchina arrivi alle sue previsioni. Ma ne ottiene di migliori rispetto a quelle del vecchio metodo. Tutto questo perché non gli abbiamo detto nulla di ciò che sapevamo, abbiamo tenuto per noi ciò che sapevamo, in modo che la macchina vedesse cose che noi non vediamo e forse che non possiamo vedere. Immaginiamo di trovarci per strada e pensiamo di prendere un autobus, che però impiega troppo tempo per arrivare. È da un po’ che non veniamo in città e ci chiediamo cosa succede.  
Può darsi che la città abbia riprogettato il suo sistema di transito sulla base delle raccomandazioni dell’A.I. Quindi, ad esempio, potrebbero essere state raccolte tonnellate di dati su come le persone si muovono, quali tipi di trasporto utilizzano, gli orari in cui alcuni trasporti sono sovraffollati e così via. E si sarebbe applicato l’apprendimento automatico per trovare un modo più efficiente ed efficace di instradare tutto questo traffico. Ciò potrebbe comportare la modifica di alcune strade, rendendole a senso unico. Potrebbe essere necessario riprogrammare i semafori. Potrebbe comportare la creazione di un numero maggiore o minore di passaggi pedonali. Inoltre, naturalmente, si considera il percorso degli autobus, la frequenza delle corse, il numero di quelle locali e di quelle espresse. L’intelligenza artificiale potrebbe esaminare tutto questo e proporre un piano che massimizzi l’efficienza del sistema, il che può essere meraviglioso. Ma può anche andare male, perché il sistema potrebbe trovare un modo, per esempio, che massimizza l’efficienza complessiva misurata in base al tempo impiegato. Qual è la somma totale dei tempi impiegati nei viaggi delle persone in città? Potrebbe non essere un modo intelligente o effettivo, ma potrebbe andare così. E quindi l’intelligenza artificiale proporrà un insieme di tutti questi cambiamenti.  
Si fanno molti compromessi nel progettare l’intelligenza artificiale, a partire dalla comprensione di quali sono i suoi valori. Possiamo dire che l’IA è certamente algoritmica. Ma gli algoritmi sono fatti funzionare per noi sulla base di decisioni che noi umani prendiamo, e che a volte dimentichiamo di aver preso. Il pregiudizio è il peccato originale dell’apprendimento automatico. Perché è molto difficile liberarsene ed essere sicuri di avercela fatta. Il motivo principale è che l’apprendimento automatico dell’A.I. si è formato sui dati, e i dati sono un riflesso, in un modo o nell’altro, di noi stessi. Inoltre, comprende la scelta di quali dati vogliamo mettergli a disposizione. Se scegliamo di preparare un sistema diagnostico ospedaliero, ma utilizziamo solo i dati di persone giovani, o di persone anziane, o di persone della zona ricca della città, e così via, allora è molto probabile che otterremo un modello che funziona per il tipo di persone sui cui dati è stato elaborato, ma non è affidabile per nessun altro. Si tratta di un problema serio. Forse impossibile da risolvere completamente.  
Ma ci sono molte cose che possono e devono essere fatte, e che già vengono fatte. Ecco un esempio di quasi dieci anni fa: nel 2015, Amazon ha “addestrato” un sistema di apprendimento automatico con i curriculum dei suoi dipendenti di successo. Ma a causa dei pregiudizi del settore, si trattava di un gruppo in gran parte di uomini. Di conseguenza, anche se Amazon nei dati raccolti dai candidati ha eliminato qualsiasi riferimento diretto al sesso della persona, il sistema aveva appreso dai curriculum che la parola “donna” non era correlata ai tipi di persone che avevano successo. Frasi come “ho frequentato un college femminile” o “ho fatto parte della squadra femminile di scacchi”, o “Sono stata una campionessa olimpica femminile” facevano sì che il sistema trovasse le persone a cui corrispondevano meno propense al successo. E i loro curriculum venivano di conseguenza ignorati. Ci sono alcune ovvie proxy per il genere o per la razza o per lo status socioeconomico e simili, tra cui il luogo di residenza, le università frequentate e lo storico della carriera lavorativa. Sono più le donne degli uomini ad avere lunghi periodi vuoti nel curriculum, perché nella nostra cultura sono le donne in genere ad assumersi la responsabilità principale nell’educazione dei figli. Le proxy possono essere molto sottili, un insieme di piccoli indizi che portano il sistema a capire quale sia la classe economica o il sesso o la religione e così via, il che può rendere i risultati molto distorti. Si tratta di un problema davvero difficile da risolvere, perché i pregiudizi sono molto radicati nella nostra cultura. Non scompariranno mai del tutto. Ma è un problema che possiamo gestire con sempre maggiore successo se ci mettiamo davvero al lavoro con la testa e con il cuore.

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