Qualità del dato e intelligenza artificiale: in Italia 3 aziende su 4 non sono pronte

Sostituito da altri hype tecnologici, dopo l’esplosione all’inizio degli anni Dieci, il tema dei dati (big e open) è passato in secondo piano, almeno a livello di visibilità. Ma non hanno mai smesso di ricoprire un ruolo cruciale in materia di innovazione e ancora di più in tempi di intelligenza artificiale e AI generativa. Sono i dati, infatti, la materia prima per costruire e formare l’AI. E la loro qualità determina l’impatto dei risultati prodotti. Irion, software house torinese specializzata in tecnologie e soluzioni di Enterprise Data Management, per i suoi vent’anni di attività ha commissionato all’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano la ricerca “Data Quality & Al: impatto e livelli di preparazione nelle aziende”. L’indagine è stata condotta a maggio 2024 su un campione di 158 medio-grandi imprese (da 50 addetti in su) in diversi settori dalla manifattura al terziario avanzato, passando per trasporto, logistica e utility.

Il report

Il primo dato che salta all’occhio è il fatto che circa 3 aziende su 4 (74%) non sono pronte a implementare tecnologie di intelligenza artificiale a causa della mancanza di programmi di data management avanzato. Inoltre, solo il 20% delle aziende ha consapevolezza di aver subito aumenti di costi a causa della scarsa qualità dei dati, dato che sale al 41% nelle aziende “AI-ready”, che però rappresentano il 26% del totale (appena il 15% se si parla di medie imprese). La maggioranza delle aziende è consapevole dell’importanza dell’attività di integrazione, preparazione e pulizia dei dati, ma manca il passaggio all’azione, anche per i costi che questo comporta, che spesso vengono concepiti come una barriera insuperabile.

Riassumendo, si vede un percorso avviato, ma a velocità ancora troppo lenta. Solo un’azienda su due ha definito un programma di Data Management e sempre il 50% ha al proprio interno almeno una figura di riferimento sulla qualità dei dati. Infine, solo un’azienda su tre porta avanti continuativamente progetti di miglioramento della qualità dei dati e ha almeno una tecnologia dedicata. E sono soprattutto le medie e piccole imprese a pagare un maggiore ritardo. La consapevolezza cresce nelle aziende AI-ready, ma questo fa si che le altre rimangano indietro e così il gap non si riduce.

L’impatto dell’AI

La qualità dei dati è fondamentale per permettere la corretta implementazione dell’IA: solo grazie a informazioni corrette è possibile addestrare gli algoritmi in base alle proprie esigenze, ottenendo risultati utili, affidabili e di valore. Ma l’AI influenza anche il modo in cui i dati vengono letti, analizzati e utilizzati per prendere decisioni e generare valore. “Nel percorso che porta ad assumere decisioni data-driven gioca un ruolo importante quello che viene definito il “punto di delega”, il momento in cui l’attività dell’uomo diventa predominante su quella della macchina – spiega Giovanni Scavino, co-fondatore di Irion e Chairman of the Board –. Nell’analisi dei dati, solitamente avviene prima del punto critico in cui si assumono le decisioni e dunque, se il dato è di scarsa qualità è ancora possibile un intervento umano. Con l’AI si punta ad automatizzare il procedimento decisionale e questo sposta il “punto di delega” a un momento successivo, perché le decisioni possono essere prese direttamente dall’intelligenza artificiale”. In questo caso, la scarsa qualità del dato impatta maggiormente e produce danni maggiori anche sulla possibilità di generare valore.

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