Diritto alla disconnessione: tutela fondamentale nell’era digitale

Il diritto alla disconnessione, ossia la possibilità di non essere raggiunti da messaggi whatsapp, e-mail o contattati al di fuori dall’orario di lavoro, rappresenta una conquista già per diversi Paesi europei e non solo. In Italia, in assenza di specifiche norme, la regolamentazione individuale tra datore di lavoro e dipendente non sempre pare essere efficace, anche (e soprattutto) alla luce dei progressi tecnologici.
In questo contesto, il DDL Sensi si propone di disciplinare il funzionamento di quello che negli ultimi tempi viene percepito sempre di più come necessità.
DDL Sensi: la proposta di legge sul diritto alla disconnessione
A novembre 2024 è stato presentato al Senato il DDL S. 1290 (DDL Sensi), recante disposizioni in materia di diritto alla disconnessione nei rapporti di lavoro. La sua finalità è quella di creare non solo una normativa ad hoc ed omogenea, stante la presenza di un mero substrato normativo, ma anche di dare vita ad una vera e propria – se così si può chiamare – “cultura del benessere”.
Se fino ad oggi il concetto di tutela del dipendente era indissolubilmente associato alla salute fisica ed alla sicurezza dei luoghi di lavoro, l’intervento in materia ha certamente il merito di ampliare la visuale sulla salute psicofisica di tali soggetti.
Le ragioni della necessità di regolamentare il diritto alla disconnessione
Le ragioni che hanno condotto ad una siffatta decisione sono molteplici.
Sicuramente, l’assenza di una disciplina uniforme, sia a livello europeo sia a livello nazionale, ha influenzato gli addetti ai lavori.
Nonostante la risoluzione del Parlamento Europeo del 2021 (2019/2081 INL del 21 gennaio 2021) – che, per la prima volta, ha elevato il diritto alla disconnessione a diritto fondamentale del lavoratore nella nuova era digitale – solo la Francia ha avuto il merito, per prima, di affrontare la tematica già nel 2016, seguita poi da Spagna, Belgio ed Irlanda.
In Italia un timido approccio alla materia si è registrato con la legge 81/2017 che disciplina il lavoro agile anche se, tuttavia, non si accenna ad un vero e proprio “diritto”, rimandando, piuttosto, ad «accordi tra le parti» per definire «tempi di riposo, nonché misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche».
Va da sé che una previsione di questo tipo, in assenza di indicazioni generali, dava luogo a profili di disparità di trattamento.
L’evoluzione normativa e i limiti attuali
Solo la recente pandemia di COVID-19 ha accelerato l’adozione di provvedimenti mirati. Lo “spartiacque” si è registrato in occasione della conversione in Legge del 6 maggio 2021 n. 61, del d.l. del 13 marzo 2021 n. 30, che ha offerto un primo riconoscimento normativo al “diritto alla disconnessione”, seppur con alcuni limiti.
L’articolo 2, comma 1-ter del predetto testo normativo sancisce infatti che «è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi».
Come si diceva, un intervento certamente innovativo, ma carente sotto l’aspetto della tutela individuale, sia perché la regolamentazione di tale diritto era comunque demandata sempre al datore di lavoro, sia perché il diritto alla disconnessione era comunque riconosciuto unicamente al lavoratore che svolge «attività in modo agile».
Tecnostress e burnout: i rischi dell’iperconnessione
Leggendo il contenuto del nuovo disegno legge, invero, non possono non balzare all’occhio concetti nuovi come “tecnostress”, ossia «lo stress derivato da un utilizzo lavorativo incorretto delle nuove tecnologie, che porta a sovraccaricare i flussi di informazione generando ansia, insonnia e mal di testa» o della “sindrome da burnout”, ovvero un «grave logorio psichico ed emotivo derivato dallo stress lavorativo che può sfociare in disturbi dissociativi, aggressività e svariate problematiche fisiche, nonché l’abbassamento della produttività».
Tale approccio, che potremmo definire “illuminato”, è sicuramente frutto dei tempi in cui viviamo e degli accadimenti che ci hanno coinvolto negli ultimi anni, che hanno mutato radicalmente il modo che avevamo di concepire l’attività lavorativa.
Nel contesto emergenziale causato dal COVID-19 la necessità di garantire la salute dei lavoratori e, al contempo, la continuità dell’attività produttiva ha generato una capillare diffusione dello smart-working e delle tecnologie necessarie per potere comunicare o lavorare da remoto. In un siffatto scenario, è evidente che il lavoratore, esercitando la sua attività in luoghi differenti dal tradizionale ufficio – generalmente presso la propria abitazione – è diventato bersaglio di continui stimoli, con il rischio di non riuscire a tracciare una linea di demarcazione tra sfera lavorativa e sfera privata.
L’impatto sulla salute dei lavoratori
I rischi connessi, che possono sicuramente impattare sul benessere del lavoratore ed anche sulla attività produttiva, sono individuati dal DDL Sensi proprio nei concetti poc’anzi riportati: il tecnostress e la sindrome di burnout, che vengono associati ad un “cattivo uso” delle tecnologie, indissolubilmente legati alla “iperconnessione” alla quale siamo costantemente esposti.
Il cosiddetto tecnostress oppure la sindrome da burnout, inizialmente associata alle professioni sanitarie, oggi riguardano qualsiasi posizione di grande responsabilità lavorativa. In particolare, in relazione a quest’ultima, da maggio 2019 l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne ha riconosciuto lo status di sindrome, con dei sintomi ben definiti quali «la sensazione di esaurimento (mentale e fisico), il distacco mentale dal proprio lavoro, spesso accompagnato da negatività o cinismo relativi a esso, e una conseguente riduzione della propria produttività. Completano il quadro una mancanza di stima in se’ stessi e un senso di colpa dovuto al non riuscire ad evadere tutte le scadenze prefissate».
Appaiono, pertanto, evidenti i limiti della attuale normativa in materia e non possono certo lasciare indifferenti anche i molteplici studi che collegano tali patologie ad una diminuzione della produttività.
Intelligenza artificiale e nuove sfide per la disconnessione
In parallelo, anche l’intelligenza artificiale, sempre più diffusa, sta trasformando radicalmente i processi lavorativi, introducendo nuovi strumenti che impattano sulla separazione tra vita professionale e privata, alimentando senza dubbio nuove criticità.
Solo per citare alcuni esempi, i sistemi di gestione algoritmica (algorithmic management), utilizzati nei sistemi di lavoro tramite piattaforme digitali, sono in grado di monitorare in tempo reale la produttività dei dipendenti e sono potenzialmente in grado di inviare notifiche e suggerimenti operativi anche al di fuori degli orari di lavoro. Inoltre, l’utilizzo di chatbot, o robot di conversazione, ossia software progettati per simulare una conversazione con un essere umano, inducono ad un contatto costante e continuo vista l’immediatezza con la quale possono ottenersi risposte.
Non solo. Sempre più aziende utilizzano anche strumenti quali «machine learning» per l’analisi delle performance, che possono sicuramente spingere i lavoratori a sentirsi costantemente sotto osservazione.
A livello comunitario, l’Unione Europea ha già adottato il Regolamento (UE) 2024/1689, AI Act, che impone specifiche restrizioni sull’utilizzo dell’IA nel contesto lavorativo. Questo regolamento obbliga i datori di lavoro a garantire che i sistemi basati su IA non compromettano il diritto alla disconnessione ed a informare i lavoratori sull’impiego di strumenti automatizzati per la gestione del personale.
Parallelamente, il Consiglio d’Europa ha approvato la Convenzione quadro sull’Intelligenza Artificiale e i Diritti Umani, che stabilisce linee guida per l’uso etico dell’IA, con particolare attenzione alla protezione dei lavoratori.
Alla luce di queste evoluzioni sicuramente rivoluzionarie, è palese che, a livello anche nazionale, si intervenga per dare un ordine alle aziende al fine di bilanciare l’utilizzo delle nuove tecnologie con la tutela dei diritti dei lavoratori.
Diritto alla disconnessione: le novità del DDL Sensi
Il DDL Sensi potrebbe essere, appunto, la soluzione.
Una della novità è che per la prima volta il disegno di legge mira ad uniformare la disciplina tra lavoratori dipendenti ed autonomi.
L’ambito di applicazione della normativa
Dopo avere individuato l’ambito di applicazione della normativa (realtà con più di quindici lavoratori che utilizza prevalentemente attraverso strumentazioni digitali) aggiunge, infatti, che questa si applicherebbe anche a lavoratori autonomi e professionisti. Da ciò deriverebbe l’obbligo per gli ordini e per le associazioni professionali di adeguare i rispettivi codici deontologici con una disciplina ad hoc entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (art. 4).
Le comunicazioni che vengono limitate sono tutte quelle che consentono un contatto tra lavoro e lavoratori (via telefono, mail, tramite servizi di messaggistica istantanea o piattaforme di collaborazione (art. 2).
L’obbligo informativo da parte del datore di lavoro
Inoltre, viene anche previsto un obbligo informativo da parte del datore di lavoro, che deve rendere edotto il lavoratore, istruendolo, sulle modalità del suo esercizio. In questo contesto, all’articolo 1 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, dopo il comma 8 è aggiunto il comma 8-bis, che prevede che «una copia delle informazioni di cui al comma 1 nonché delle informazioni inerenti al diritto alla disconnessione, sottoscritta dal lavoratore interessato, è inviata alla direzione territoriale del lavoro competente».
Sanzioni in caso di mancato rispetto delle norme
Nel Disegno Legge sono previste anche sanzioni in caso di mancato rispetto delle norme in esso contenute: applicazione una sanzione amministrativa pecuniaria, ossia il pagamento di una somma da 500 euro a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato; mentre per la violazione degli obblighi di informazione di cui all’articolo 6, comma 1, si rimanda alle sanzioni previste dall’articolo 4 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152.
Il rischio di conseguenze sul piano economico rappresenta senza dubbio un incentivo al rispetto delle norme previste, fungendo da deterrente.
Sfide e opportunità del diritto alla disconnessione
Non mancano di certo i dubbi derivanti dalla sua applicazione.
Il diritto alla disconnessione rappresenta una sfida cruciale nell’era dell’iperconnessione e dell’intelligenza artificiale. Difatti, se da un lato le tecnologie possono migliorare l’efficienza e la produttività, dall’altro è essenziale adottare normative e strumenti adeguati per tutelare il benessere dei lavoratori.
La regolamentazione europea e le iniziative nazionali dimostrano una crescente consapevolezza dell’importanza di garantire un equilibrio tra innovazione e diritti fondamentali, affinché il progresso tecnologico resti un’opportunità e non una minaccia per il mondo del lavoro.
Qualora il contenuto del DDL Sensi dovesse essere approvato, si assisterebbe ad un enorme passo avanti in questo senso.
La sfida sarà, tuttavia, quella di calare tale diritto nella realtà quotidiana ed armonizzare i contrapposti interessi in gioco in una realtà in cui la digitalizzazione è diventata un elemento fondamentale dell’attività produttiva.
Autore del post: Agenda Digitale Fonte: https://www.agendadigitale.eu/ Continua la lettura su: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/diritto-alla-disconnessione-tutela-fondamentale-nellera-digitale/
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