Siamo i nuovi cavalli? Una riflessione su ChatGPT4o e il futuro del lavoro intellettuale

Il 15 maggio 2024 il mondo ha assistito alla presentazione di ChatGPT4o di OpenAI, l’intelligenza artificiale del mondo Microsoft in grado di interagire con gli utenti in maniera omnimodale, leggendo ed interpretando video, audio e testi. La demo presentata è stata per certi versi scioccante, lasciando intravedere scenari fino a poche ore prima solo sognabili.

Se negli ultimi decenni siamo stati abituati al dilagare di tecnologie che, giorno dopo giorno hanno rimpiazzato attività operative (si pensi alla sparizione di lavori come il casellante o la quasi completa sparizione dei commessi dei supermercati), per la prima volta assistiamo a qualcosa che potrebbe sostituire il lavoro intellettuale, quello dei cosiddetti colletti bianchi.

sostituire il lavoro intellettuale

La prima reazione a caldo di chi vive del frutto del proprio ingegno, dopo la presentazione, è stata dolorosa e scioccante dovuta alla sensazione epidermica che stiamo entrando a velocità ipersonica in quel periodo che vedrà l’evaporazione del lavoro intellettuale dei cosiddetti “colletti bianchi”.  Certo, quella cui abbiamo assistito è la demo di GPT4o, e, si sa, una demo è sempre una demo. La realtà non è ancora qui. Ma ci arriveremo, in qualche modo, prima o poi. OpenAI dice due settimane.

Quindi vale la pena ragionare sul presente, per razionalizzare la rivoluzione in essere.

Per prima cosa, la cronaca: cosa è successo il 15 maggio 2024? Il video che abbiamo visto è una demo di un dipendente di OpenAI che parla con un assistente digitale totalmente realistico con capacità video-audio-discorso. Un assistente dinamico, arguto e sveglio, a tratti persino simpatico, in grado di interagire abilmente con l’ambiente che lo circonda e in grado di perseguire il compito assegnato in grande autonomia. Quindi, sì l’IA può imitare compiti cognitivi basandosi su una base di dati enciclopedica adattandosi all’ambiente in tempo reale. Se ciò che GPT4o sarà intelligente solo la metà della demo, molti lavori intellettuali potrebbero essere sradicati, evaporare.
Ma – procediamo per gradi – lo saranno?

A quali condizioni un lavoro possa essere sostituito da una macchina.

Una riflessione storica potrebbe aiutare nel ragionamento. Pensiamo all’ascesa e al declino del cavallo da tiro. Fino alla fine del 1800 e all’inizio del 1900 i cavalli erano usati ovunque per trainare carri con ogni tipo di carico. Poi è arrivata l’automobile. Ai suoi inizi, tuttavia, l’automobile era lenta, inaffidabile, costosa. Questo, fino agli anni Venti del secolo scorso, quando l’automobile ha superato il cavallo in tutte le dimensioni possibili e, nel giro di dieci anni non c’erano praticamente più cavalli che trainavano carri (una storia raccontata molto bene nel libro A World Without Work di Daniel Susskind).

Con questa linea di argomentazione, si può paragonare l’AI di quattro anni fa alla prima competizione automobilistica del 1894, la Parigi-Rouen: eccitante, interessante, pittoresca, curiosa, costosa e, soprattutto, lontana dalle menti di milioni di cocchieri e cavalli che erano più interessati a consegnare il carico del giorno, piuttosto che alle ultime meraviglie ingegneristiche. Tutto questo è cambiato drasticamente – soprattutto per i cavalli – intorno al 1925. L’argomentazione che ne deriva, quindi, è che poiché l’AI sta sostanzialmente eguagliato se non superando i “colletti bianchi” in praticamente tutte le dimensioni possibili, il lavoro impiegatizio può essere assegnato all’intelligenza artificiale nello stesso modo in cui il trasporto di persone e merci è stato riassegnato dai cavalli alle automobili cento anni orsono.

Siamo quindi i nuovi cavalli?

Sembrano, a questo punto, pochi gli argomenti che ci permettano di rispondere negativamente a questa domanda. Forse. In ogni caso proviamoci, anche solo per mitigare il senso di frustrazione. Ma andiamo per ordine.

Prima considerazione: soffermiamoci per un istante sulla differenza tra compiti e lavori. Forse questo è l’elemento centrale di questa riflessione: i lavori tipicamente non sono compiti. Il cavallo – chiediamo venia per la semplificazione dell’argomentazione – aveva pochi e circoscritti compiti: trainare un carro, correre, trasportare, nutrire. Oggi rimangono solo due di questi compiti. Diversamente, i lavori intellettuali coinvolgono compiti diversi e, spesso, interconnessi. Le organizzazioni hanno impegnato ingenti risorse per creare lavori diversificati e caratterizzati dalla necessità di molteplici competenze. Il cosiddetto allargamento e l’arricchimento del lavoro. Negli ultimi decenni la letteratura organizzativa ha sviluppato concetti di empowerment, soft-skills, competenze trasversali per arricchire il contenuto del lavoro affrancandolo da una mera esecuzione di compiti. Quindi, se l’IA può sostituire alcuni compiti, potrebbe ancora essere lontana dal sostituire i lavori anche nel caso in cui il compito oggetto della sostituzione fosse al centro del lavoro (tuttavia se il nostro lavoro fosse un compito, come compilare fogli Excel copiando numeri da altri fogli Excel dalla mattina alla sera, allora probabilmente dovremmo porci delle domande).

La seconda considerazione riguarda la dimensione tempo. Cambiamenti complessi richiedono tempo e cambiare sistemi complessi, come le aziende o le istituzioni, richiede ancora più tempo. Lavoro, occupazioni, ruoli sono intrecciati in una rete di relazioni che richiede tempo per cambiare. Questa può essere la principale fonte di frustrazione per i tecnologi. D’altra parte, invece, l’adozione a livello individuale può essere molto veloce: avremmo potuto usare l’IA per scrivere questo articolo (non è così), gli studenti possono usare l’IA per scrivere temi e relazioni, o l’IA può scrivere messaggi su LinkedIn o “X”.

Nel breve termine, coloro che padroneggiano bene gli strumenti IA – o almeno creativamente – avranno enormi aumenti di produttività. Improvvisamente, come accademici, si potranno scrivere un articolo, correggere 300 esami, redigere una proposta di sovvenzione in una settimana e avere ancora tempo per il caffè. Questo durerà fino a quando i manager o il ministro di turno (non si parla della sola Italia), incorporeranno questo aumento di produttività negli standard di misurazione delle prestazioni. Quindi l’aspettativa sarà quella che un accademico scriva un articolo, corregga 300 esami, rediga una proposta di sovvenzione in un giorno e poi ripeta le stesse attività per i rimanenti quattro giorni della settimana. Se quindi, l’AI può automatizzare alcuni compiti e aiutare con altri, avrà bisogno di tempo per integrarsi pienamente nell’architettura delle relazioni lavorative.

L’ultima considerazione riguarda l‘adattabilità. Il tempo può giocare a favore degli umani in questa trasformazione. Il cavallo aveva quattro compiti, ora ne ha due. Il cavallo non si è evoluto e non ha potuto cambiare. Non ha trovato nuove cose da fare ed è quasi scomparso. L’umanità è sbalorditivamente brava a reinventarsi. In altre parole: se non puoi correre contro la macchina, impara a correre con la macchina. Possiamo reinventare i servizi e i prodotti rendendoli più avanzati e complessi, possiamo affinare i processi di creazione del valore all’infinito, lasciando alla macchina la cura dei compiti pedestri, ripetitivi, noiosi e, a volte, alienanti o che, semplicemente, non amiamo fare. Se alla fine, la macchina si accaparrerà un gran numero di compiti, potremo difenderci attraverso la nostra inventiva, creando nuovi servizi innovativi per colleghi e clienti. Ne deriva che, ad una IA che continuerà a evolversi, noi dovremo contrapporre una continua evoluzione del senso del lavoro.

Quindi, siamo i nuovi cavalli? Questi quattro punti prefigurano un periodo di aggiustamento e adattamento. Un periodo di creatività e un periodo di differenziazione in cui dovremmo dare un senso, interiorizzare e comprendere la natura di questa, ennesima, trasformazione. Ci saranno alti e bassi e sarà esaltante per alcuni, e irritante e frustrante per altri. Tuttavia, la logica ci dice che, alla fine, prevarremo. Ci adatteremo e, con un po’ di fortuna, assisteremo ad un mondo diverso, probabilmente migliore, grazie a queste innovazioni anche se ci sarà un prezzo da pagare.

*Professore in Management Information Systems, al dipartimento di Management dell’Aarhus School of Business and Social Sciences, Aarhus University Danimarca.

**Professore Associato in Organizzazione Aziendale al dipartimento di Management dell’Università di Verona e SKEMA Business School (Francia).

Come maneggiare l’AI con ottimismo e senza panico

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