Migliaia di dipendenti in meno: i “robot” sono entrati nelle nostre banche. Ecco cosa rischiamo
Un vero e proprio terremoto. L’intelligenza artificiale (IA) sta già cambiando radicalmente il mondo del lavoro. E se ad aumentare sarà la produttività, i timori sulla tenuta dell’occupazione crescono. A ottobre 2024 la società che controlla il social network cinese TikTok ha annunciato il licenziamento di centinaia di lavoratori addetti alla moderazione dei contenuti sulle sue piattaforme. Il compito può ora essere svolto più agevolmente dai nuovi software di IA. Una scelta che non è certo una novità nel mondo delle Big Tech.
Uno studio dell’Fmi (Fondo monetario internazionale) rivela che questi strumenti potrebbero stravolgere fino al 60 per cento dei posti di lavoro attuali. Secondo un’altra recente ricerca del World Economic Forum, invece, circa il 23 per cento delle professioni cambierà volto entro il 2027, anche per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. A livello mondiale le previsioni sono di 83 milioni di posti di lavoro persi, a fronte di altri 69 milioni creati: un saldo che si annuncia quindi negativo. Fra le professioni in ascesa spiccano gli specialisti in IA. I lavoratori dell’ambito bancario, finanziario, statistico e assicurativo sono invece quelli più a rischio sostituzione. Un trend già visibile in Italia, che non sorprende gli addetti ai lavori.
Il caso Bper e il calo occupazionale delle banche italiane
Ad aprire il dibattito nel nostro Paese è stato, a ottobre 2024, un comunicato di Bper. La quarta banca italiana per attivo, con una capitalizzazione di oltre 8 miliardi di euro, ha annunciato nero su bianco nel piano industriale 2024-2027, la riduzione dell’organico del 10 per cento anche per “l’ottimizzazione e automazione dei processi grazie all’AI/GenAI sia nel back office che nelle funzioni di supporto”. Nel testo non si parla di licenziamenti, bensì di duemila uscite volontarie. Ma la notizia in breve è diventata di rilievo nazionale.
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Contattata da Today.it, la banca ha ridimensionato il suo annuncio. “L’intelligenza artificiale è utilizzata per compiti che l’uomo non può fare. Negli anni precedenti ci sono state chiusure di filiali, acquisizioni di più banche e relative economie di scala; il ridimensionamento del personale rientra in queste dinamiche e non c’entra con l’utilizzo dell’IA”, fanno sapere da Bper. Le stesse fonti ci hanno però parlato espressamente anche di “upskilling”, cioè di riqualificazione professionale per i dipendenti, confermando l’accelerazione dell’azienda sull’uso delle nuove tecnologie.
Ma, tralasciando il caso specifico, il calo dell’occupazione del settore è decennale e coincide con la digitalizzazione. Per chi resta l’unica strada è l’aggiornamento professionale continuo.
La professione che molti italiani continuano ad associare al mito del cosiddetto posto fisso è in crisi da più di 10 anni. E il futuro non promette bene. Dal 2012 il saldo occupazionale di cinque tra le più grandi banche italiane fa segnare un passivo di oltre 32mila lavoratori. Ma se si risparmia sul personale, le cose cambiano quando si parla di tecnologia.
Gli investimenti record in tecnologia e il boom di profitti
Il processo di digitalizzazione degli istituti di credito italiani va avanti da più di 20 anni. E oggi l’evidenza è che i software di intelligenza artificiale possono svolgere più processi: dall’assistenza alla clientela alla gestione degli investimenti, fino alla valutazione del rischio creditizio. Non è quindi un caso che le maggiori banche italiane ci puntino milioni di euro.
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“I cambiamenti tecnologici nel settore proseguono nel solco della linea di una continua restrizione dell’occupazione e di un progressivo abbandono del presidio fisico dei territori, declinati ora dietro la parola d’ordine ‘efficientamento’. Cresce l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, specie nei grandi gruppi, ma oltre le profittevoli opportunità non vengono adeguatamente contemplati i rischi, che riguardano non solo la tenuta occupazionale ma anche la tutela della clientela e la garanzia dell’inclusione finanziaria”, osserva Susy Esposito, segretaria generale della Fisac Cgil, il sindacato di categoria.
Ed è curioso notare come, al di là del caso di Mps, interessata da una crisi decennale, siano proprio gli istituti bancari che investono di più in tecnologia a ridurre maggiormente il personale. Una contrazione realizzata mentre spesso aumentavano i profitti. “In questi due anni i grandi player bancari hanno registrato circa 13 miliardi di utili. Eppure le filiali sono calate in 5 anni del 20 per cento, passando da 25 mila a 20 mila e i dipendenti, nello stesso lasso di tempo, sono diminuiti del 6 per cento, pari a poco più di 16 mila unità, attestandosi a circa 260 mila lavoratori del settore”, spiega Susy Esposito a Today.it.
E se in Italia non si è assistito a licenziamenti, grazie a un fondo di solidarietà creato ad hoc, nel mondo della finanza e delle cosiddette fintech le acque sono decisamente più agitate.
Nelle fintech l’IA sta già rimpiazzando i lavoratori
La sveglia l’ha data un’intervista di Christoph Rabenseifner, responsabile tecnologia di Deutsche Bank, al New York Times. “L’idea è semplicemente quella di sostituire profili junior con L’IA”, ha dichiarato candidamente il manager tedesco. Il riferimento è agli analisti finanziari e al probabile calo delle assunzioni nel settore. E anche Jay Horine, dirigente di Jp Morgan ha ammesso recentemente: “L’IA ci farà svolgere in dieci secondi compiti per cui occorrerebbero dieci ore. La mia speranza è che permetterà al nostro lavoro di essere più interessante”.
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Nel frattempo sono però partiti i licenziamenti nell’ambito delle cosiddette “fintech”, definizione abbastanza fumosa, con la quale vengono indicate tutte le aziende che utilizzano in modo massiccio la tecnologia nel mondo bancario, creditizio e finanziario.
È il caso, ad esempio, della società svedese Klarna. L’app specializzata nei pagamenti rateizzati ha ridotto il personale da 5mila a 3.800 unità dopo aver adottato un chatbot in grado di ridurre drasticamente il tempo per risolvere compiti e problemi. E potrebbe essere solo l’inizio di un vero e proprio terremoto.
“Non sappiamo quali effetti avrà in termini di distruzione e creazione di lavoro l’intelligenza artificiale. Ma non siamo i soli, anche le nostre controparti non ne sono a conoscenza. Solo pochi eletti, le cinque big tech, hanno questo potere predittivo perché sono loro che stanno determinando questi cambiamenti – osserva Susy Esposito, segretaria di Fisac Cgil -. Di sicuro, anche in ragione di ciò che stiamo sperimentando, al momento il saldo è negativo”. E per governare le trasformazioni digitali in atto dal 2019 esiste in Italia una cabina di regia, dedicata ai lavoratori del settore, formata da parti sociali e Abi, l’associazione bancaria italiana.
Altre fonti sindacali contattate da Today.it sottolineano come le banche italiane siano ancora molto presenti sul territorio, anche in virtù del’età avanzata della clientela. E come sia improbabile che, a breve, l’avvento dell’intelligenza artificiale produca uno tsunami occupazionale.
“Nel lavoro ci sarà un terremoto: servono professioni a umanità aumentata”
Ma qualcuno sta già anticipando i tempi. È il caso di Intesa San Paolo che, nel 2023, ha lanciato “Isybank”, una banca digitale senza filiali fisiche sul territorio. La strada sembra insomma ormai tracciata così come in altri settori del terziario. Certo, la perdita dl occupazione potrebbe essere in parte compensata dalla creazione di professioni a più alto valore aggiunto, come già avvenuto nelle precedenti rivoluzioni industriali. O comportare una riduzione delle ore lavorative. Quello che è certo è che la transizione chiederà presto risposte politiche. E che sull’efficacia di queste risposte si giocherà anche il nostro futuro.
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