Chattare per non sentirsi soli? Ecco cosa ci perdiamo nella vita

La costante disponibilità dei dispositivi digitali sta determinando un fiorire della scrittura mentre sembra in disuso la comunicazione verbale. Ogni essere umano ha il diritto di scrivere e la maggior parte degli esseri umani accede a spazi di scrittura condivisibili, anzitutto attraverso i luoghi offerti dal web. Un fatto inedito rispetto alle precedenti epoche storiche è infatti questa enorme disponibilità di dati scritti, disseminati in rete. Qual è però la funzione principale della scrittura?

L‘esplosione della scrittura digitale tra i giovani

Di tutta evidenza è l’odierno incremento del ricorso alla scrittura. I leader politici scrivono costantemente brevi messaggi su X e su Facebook; gli influencer pubblicano il testo dei loro video che i follower possono così leggere anche senza ascoltarne l’audio; i personaggi sportivi e quelli del mondo dello spettacolo scrivono su Instagram in calce alle loro foto rivolgendosi ai fan. In età evolutiva, si cresce con un’amplificazione della scrittura che era inedita fino a un paio di decenni or sono.

Lo sviluppo della messaggistica online ha portato a una progressiva sostituzione del tempo trascorso al telefono con quello dedicato a scriversi. Secondo una ricerca effettuata nel 2024 dall’Università Cattolica di Milano, reperibile sul sito del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il 46% dei bambini italiani di età compresa fra gli 8 e i 10 anni ha un proprio smartphone. Questa percentuale si incrementa fino al 76% alle Scuole Medie e giunge quindi alla quasi totalità di teenager che possiede un proprio smartphone.

Chattare regolarmente su Whatsapp, eventualmente servendosi a volte degli smartphone dei genitori o di fratelli maggiori, è una prassi consueta già nel 60% dei bambini che frequentano le scuole primarie. La percentuale di fruitori della chat di Whatsapp sale a un 89% fra gli allievi delle Scuole Medie in età preadolescenziale e giunge al 93% fra i teenager. Le lunghe telefonate che caratterizzavano un tempo le giornate degli adolescenti nei pomeriggi e nei periodi estivi non sono più così in voga.

Chat e messaggistica: la nuova forma di dialogo digitale

Si è parlato di “generazione hashtag” per descrivere la frequente interazione fra giovanissimi che condividono l’interesse per le tematiche specifiche di un certo hashtag con i cosiddetti loro amici virtuali. Mentre si videogioca, perlomeno in età evolutiva, è una consuetudine quella di chattare con le persone che si incontrano online in quel frangente. Curioso è il ricorrente dire nelle sedute di psicoanalisi di aver parlato con amici quando in effetti questi soggetti hanno invece chattato su Whatsapp o su Telegram con i loro interlocutori. La chat viene percepita come una conversazione reale da effettuarsi immediatamente, senza pause, senza spazi di attesa. Fa parzialmente eccezione a questa prevalenza della scrittura l’invio di messaggi vocali nei quali, a turno, si parla e si ascolta in una modalità tuttavia asincrona.

Contrazione linguistica e comunicazione primaria nella scrittura digitale

Questa prevalenza della scrittura sul dialogo si ritrova evidentemente ormai anche fra gli adulti. Che tipo di scrittura riscontriamo nel mondo odierno così digitalizzato? Ognuno ha ovviamente un proprio stile ma non si può non notare quanto la comunicazione online si caratterizzi per una sorta di contrazione del linguaggio formale: la constatiamo con i vari xò, xké, sn, pz, tvb. Questa forma di espressione non si attiene alle comuni leggi del linguaggio socialmente condivisibile; sembra piuttosto una comunicazione primaria, affine alla lallazione del bambino che interagisce con sua mamma mediante espressioni che non risultano comprensibili per tutti ma soltanto per chi fa parte di quello spazio d’intimità. Tutto questo viene arricchito dagli emoticon che hanno la funzione di apportare quella componente emotiva, affettiva e sentimentale carente nello scritto: ecco allora i messaggi scritti integrati dai cuoricini, dai sorrisi, dalla lacrimuccia, da volti impauriti o arrabbiati.

Evidentemente il tempo della scrittura in chat è immediato; non ammette alcun differimento, alcuna procrastinazione. Bisogna rispondere subito, senza il periodo che intercorreva fra l’invio di una lettera che veniva imbustata, spedita e attendeva una risposta all’epoca dei legami epistolari.

Fra le principali critiche indirizzate al ricorso alla scrittura nelle applicazioni di messaggistica come forma di interazione vi è quella relativa alla riduzione del vocabolario che ne deriverebbe soprattutto in quanto le parole e i loro sinonimi vengono già suggeriti dai dispositivi digitali. Tuttavia Nicola Grandi, direttore del Dipartimento di Filologia e Italianistica all’Università di Bologna, sostiene in un recentissimo contributo pubblicato su Micromega che i numerosi studi e le molteplici ricerche volte a dimostrare questa percezione dei fatti hanno poca attendibilità. Rimane dunque incerto se e in quale misura il propagarsi della scrittura online produca questi risultati negativi in termini di disponibilità dei vocaboli, specialmente in soggetti in età evolutiva.

Quello che si perde con la scrittura digitale

Quello che sembra irrimediabilmente perduto quando si redigono testi attraverso i programmi di videoscrittura è la singolarità assoluto del tratto della mano. Ciascuno scrive a penna con il proprio tratto speciale, unico; al contrario, per quanto ognuno abbia l’opportunità di selezionare il tipo di carattere con il quale scrive fra numerosi opzioni, la scelta sarà comunque forzata e implicherà l’adeguarsi a un carattere preconfezionato.

Si smarrisce peraltro anche il valore dell’ascolto in quanto la lettura di un messaggio non sempre permette quell’apertura di uno spazio di interazione come quello dell’atto d’ascolto che rende chi riceve il messaggio protagonista del messaggio stesso avendo il ruolo di darvi un senso a partire dal modo in cui accoglie quanto viene detto.

Psicoanalisi e primato della parola sulla scrittura digitale

La psicoanalisi ha sempre assegnato la priorità alla parola anziché alla scrittura. Infatti il metodo sul quale si impernia la cura psicoanalitica è quello della libera associazione: si tratta di dire tutto quanto viene in mente, senza preoccuparsi troppo né di nessi logici né di ragioni morali. Dire è ben diverso dallo scrivere; di solito, la cura psicoanalitica non avviene scrivendo tutto ma dicendo tutto quanto viene da affermare, con una speciale focalizzazione sulle formazioni dell’inconscio quali sogni, lapsus, dimenticanze, ricordi d’infanzia.

Jacques Lacan ha comunque sostenuto qualche volta che l’essenza della teoria psicoanalitica sta in un discorso senza parole. Può esistere un discorso che non si basi sulle parole? Si riferiva forse a un discorso composto di sospiri, di mugugni, di risate, del linguaggio corporeo ma anche del silenzio relativo a un ascolto rispettoso e interessato? La posizione dello psicoanalista in seduta è infatti anzitutto quella di ascoltare ciò che dice il soggetto che gli ha chiesto un appuntamento. Esiste un discorso che non sia imperniato sul campo del linguaggio? La scrittura non è un discorso. Frequentemente lascia adito a fraintendimenti e incomprensioni, fino al punto nel quale scatta il flame dell’aggressività, nel quale le relazioni interpersonali si fanno infuocate, incandescenti. Diventa difficile chiarirsi nel momento degli scambi online e lo si nota nelle dinamiche dei gruppi sui social network i quali offrono una buona occasione di cogliere la complessità della nuova psicologia sociale ai tempi del web; qualcuno pubblica un contenuto e i commenti che ne derivano sono spesso motivi di bellicose polemiche.

Un discorso senza parole permetterebbe una trasmissione integrale dei concetti. Non vi è trasmissione più completa di quella che avviene attraverso i matemi, i segni della matematica. La psicoanalisi ha appunto ampiamente provato a matematizzare il proprio apparato teorico soprattutto con Wilfred Bion in Inghilterra e appunto Lacan in Francia esprimendosi con griglie, grafi, schemi e lettere. Un discorso senza parole dovrebbe permettere un trasferimento integrale di quanto si intende dire.

La funzione sociale della scrittura digitale contro la solitudine

Jacques Derrida, filosofo francese, attribuiva una certa priorità alla produzione scritta asserendo esista una sorta di archiscrittura primordiale che si potrebbe estendere a ogni forma di traccia umana. Citando il dialogo Fedro di Platone, considera la scrittura come un farmaco dalla duplice valenza: da un lato è un rimedio per la memoria; dall’altro lato può diventare un veleno.

Per Lacan, al contrario, si tratta di sovvertire la celebre frase latina “Verba volant, scripta manent”: sono le parole a rimanere. Non vi è archiscrittura e tantomeno una supremazia della lettera sulla parola.

Qual è la nostra tesi sull’argomento, riferendoci anche alla scrittura mediante i dispositivi digitali? La scrittura ha soprattutto la funzione di offrire l’illusione di non essere mai soli. Non esiste e non esisterà mai una perfetta unione fra un uomo e una donna, fra marito e moglie, fra un uomo e un altro uomo, fra una donna e la sua compagna così come non esiste fra degli amici. Un essere umano non gode mai come il partner. Come sosteneva Jacques Lacan, la lettera d’amore supplisce all’inesistenza di questo tipo di rapporto. Scrivere sopperisce alla strutturale solitudine dell’essere umano che, sui punti più intimi della propria vita, si trova comunque sempre da solo in una dimensione di strutturale incomunicabilità. Si soffre molto nel trovarsi soli, nel sentirsi esclusi, nell’impressione di non appartenere a un gruppo fino a giungere alla cosiddetta FOMO (Fear Of Missing Out) così diffusa fra i giovani. Per questo si cerca di tenersi sempre in contatto, di restare sempre connessi, di non sentirsi mai tagliati fuori, di non rinunciare a esperienze collettive che potrebbero risultare argomenti di conversazione e di piacere, di non perdersi qualcosa di prezioso, di non abbandonare la comunicazione neppure per un istante messaggiando di continuo.

Verso una maggiore capacità di solitudine consapevole

Invece l’esperienza della psicoanalisi ci porta a cogliere che si è strutturalmente soli su punti fondamentali quali la pulsione, il godimento, la morte. L’analisi conduce ad aumentare la capacità di essere soli, per citare il titolo di un celebre scritto dello psicoanalista inglese Donald Winnicott: la capacità di essere soli sia con sé stessi sia in presenza di altre persone.

La nostra tesi fondamentale è dunque che la scrittura, per quanto sia efficace come metodo di comunicazione, non riesca a rimpiazzare la ricchezza dell’eloquio verbale e delle interazioni offerte attraverso gli spazi di dialogo nei quali si parla e ci si ascolta. La scrittura immediata offre l’illusione di non essere mai soli, di interagire costantemente con persone care ma conduce a evitare la fondamentale solitudine dell’essere umano. Questa tesi ci sembra si dimostri tanto più pertinente quando la scrittura si riduce a una sorta di contrazione del linguaggio nelle forme tipiche degli scambi digitali e si manifesta in una dimensione di iperconnessione, di connessione perenne.

Autore del post: Agenda Digitale Fonte: https://www.agendadigitale.eu/ Continua la lettura su: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/chattare-per-non-sentirsi-soli-ma-cosa-perdiamo-non-parlando/


Il Ministero delle Pari Opportunità finanzia il tuo corso digitale

Dipartimento Pari Opportunità

Chiedi tutte le informazioni a [email protected]

Partecipa ai corsi gratuiti

Articoli Correlati

ChatGPT guida completa per aziende e professionisti

Molto popolare in Italia, ChatGpt continua a crescere. A maggio 2024 OpenAI ha rilasciato GPT-4o e a settembre 01. Ecco cos’è il tool di intelligenza artificiale (AI) generativa e apprendimento automatico più famoso al mondo, quali sono i vantaggi e le criticità. E come può essere utile per aziende e professionisti a cui è dedicata la versione ChatGPT Enterprise
L’articolo ChatGPT guida completa: cos’è, come si usa e cosa può fare per aziende e professionisti proviene da Agenda Digitale.

Psycho-hacking: il lato oscuro dell’ingegneria sociale

Lo psycho-hacking è una forma avanzata e più subdola di ingegneria sociale, che sfrutta deliberatamente e strategicamente le vulnerabilità psicologiche proprie dell’essere umano per raggiungere specifici target di attacco. Conoscerne i rischi e gli obiettivi per difendersi
L’articolo Psycho-hacking: il lato oscuro dell’ingegneria sociale proviene da Agenda Digitale.