Bambini in vetrina digitale

A cura di Fondazione Carolina
“Piccolo spazio, pubblicità”. Mai strofa fu più calzante per descrivere come il concetto di spot sia cambiato radicalmente, a partire da quell’estate del 1982 cadenzata dal tormentone di Vasco Rossi. Dai giornali alle Tv, dalle televendite al telemarketing. Sembra un altro mondo rispetto alle profilazioni degli utenti, ai data base comprati dalle aziende con l’intento di raggiungere il proprio target commerciale con la più alta precisione possibile. Il meccanismo è proprio questo: se cerchiamo sui motori di ricerca delle tende da sole, per molte ore a venire sui nostri social e nelle mail giungono messaggi pubblicitari proprio su tende e arredi per l’estate. Siamo circondati? No, più semplicemente abbiamo accettato nel corso della registrazione a siti, servizi o acquistando prodotti, che i nostri dati siano a disposizione di queste agenzie di marketing. Lo stesso avviene per le immagini, quelle che postiamo e condividiamo ogni giorno, anche su whatsapp. Il servizio di messaggistica più diffuso al mondo sembrava un’isola felice.
Migliaia di messaggi, faccine e cuoricini, foto e video da scambiare con amici, parenti e colleghi. Tutto gratis? Neppure per sogno! Perché tutte quelle informazioni, che crediamo siano gentilmente concesse, in realtà sono altamente soppesate, proprio in virtù della cessione del diritto di utilizzo dei dati (immagini e video compresi) pubblicati e inviati attraverso la App di whatsapp. Chiarito quindi che di gratuito non c’è nulla, l’ingresso della pubblicità sul servizio più diffuso di messaggistica racconta molto di più di quanto si possa pensare. Intanto perché la pubblicità, almeno per ora, non comprende le chat o i gruppi whatsapp tradizionali [e Meta ha detto che non lancerà la pubblicità in Ue prima del 2026]. La novità riguarda gli status, ovvero quelle immagini o video di copertina che associamo al nostro profilo. Materiale visibile a tutti coloro che sono in possesso del nostro numero di telefono.
Un po’ come succede con il buon vecchio Facebook, piuttosto che sui reel di Instagram o di Youtube. Non a caso whatsapp si apre sempre di più alle aziende e ai canali pubblici, né più né meno di quanto accade nei social tradizionali.
Ed è questo il punto: whatsapp non è più una semplice chat, ma è diventato un social vero e proprio, dove il nostro profilo agisce e interagisce in un contesto sempre più aperto e, di contro, esposto. La comunicazione digitale, presto o tardi, ci presenta il conto. Se accettiamo di far parte di questo grande fratello, non possiamo esimerci dal sottostare alle sue regole.
E quindi? Che fare?
Siamo noi a decidere quanto e come metterci in gioco, ma se ciascuno di noi è legittimato a gestire come meglio crede la sua privacy, quando si tratta di foto, dati o riprese che riguardano minori, che siamo figli, nipoti, allievi o studenti, la posta in palio aumenta.
Quanto siamo disposti a mettere sul piatto della comunicazione online per soddisfare il nostro bisogno di essere visti, apprezzati e condivisi? Senza questo esercizio, la sicurezza e il benessere digitale dei minori sarà sempre in secondo piano.
Un film già visto, con o senza pubblicità.
Autore del post: Famiglia Cristiana Fonte: https://www.famigliacristiana.it/ Continua la lettura su: https://www.famigliacristiana.it/articolo/-bambini-in-vetrina-digitale.aspx
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